Yoga e scuola: un connubio necessario?

Abstract

Conseguentemente le sollecitazioni pervenute dalle numerose segnalazioni allarmate da parte di genitori vigili alle proposte educative provenienti dagli istituti scolastici dei propri figli, si fa quantomeno obbligatorio fornire uno spunto di riflessione sul connubio fra la pratica motoria dello yoga, la sua diffusione in occidente e la valenza educativa che dovrebbe avere per essere legittimamente introdotta in contesti formativi. Occorre chiedersi: è possibile definire e praticare lo yoga come attività ginnica staccata da ogni carattere spirituale proprio delle sue origini? In caso contrario, quale visione dell’uomo e della vita tramanda indirettamente agli alunni?

Introduzione e riflessione sulla situazione attuale

di Giusy D’Amico

Molti genitori nelle ultime settimane  hanno chiesto informazioni alla nostra  Associazione  Non Si Tocca La Famiglia, sulle numerosissime proposte nelle scuole  ispirate alle pratiche Yoga, che in quest’anno scolastico appena trascorso, sembrano aver preso piede in maniera incontrollata e come spesso accade, con modalità poco chiare, con  motivazioni  non sempre condivise dalle famiglie e introdotte in corso d’anno, senza aver inserito nel PTOF  schede tecniche dettagliate  sul chi avrebbe fatto cosa, quando, con quali finalità e con quali metodologie. Certamente si riproporranno anche per il nuovo anno, così abbiamo pensato di elaborare una riflessione in merito perché fosse di orientamento alle tante domande ricevute. Le segnalazioni perlopiù sono giunte dalla scuola dell’infanzia e quelle elementari: ho approfondito alcuni elementi di queste proposte che nella loro presentazione anche in rete, sembrano contenere la soluzione ad una serie di ostacoli di tipo comportamentale che nei bambini risultano spesso difficili da gestire e superare nel contesto scolastico e familiare.

La motivazione ricorrente per  cui le scuole propongono tali attività ai genitori,  è quella di privilegiare un percorso che possa  calmare i bambini, astrarli momentaneamente da conflitti di tipo relazionale, sciogliere  le loro tensioni, insegnare loro  tecniche di rilassamento,  dare loro nuovi strumenti di fronte ad  irrequietezze e nervosismi di cui spesso non si comprende l’origine e tantomeno esistono nella scuola  figure di riferimento per insegnare agli  educatori la gestione di tali conflitti. Si parla anche di prevenzione al bullismo. La domanda ricorrente alla quale cercherò di dare una risposta è proprio quella relativa alla bontà o meno di tali proposte e alla necessità o meno di attuarle facendo ricorso a filosofie e religioni orientali, quando si potrebbero privilegiare magari approcci semplicemente di tipo pedagogico, motorio, dialogico, ugualmente o forse più efficaci, di tante vie così lontane che qui in Occidente, sembra vogliano diventare le nostre a tutti i costi. 

Premesso e accertato che lo yoga è legato ad una dimensione religiosa, filosofica, culturale, è necessario chiedersi: perché ricorrere a filosofie che tentano in maniera più o meno goffa di ispirarsi allo yoga orientale con modalità occidentale, producendo spesso miscugli dal risultato ignoto a coloro che lo praticano? C’è da domandarsi anche se percorsi come questi che evocano stati alterati della coscienza, siano gestibili nel tempo e da tutti e, soprattutto quali effetti ipotizzabili, nel tempo, sui bambini: che tracce possono lasciare in loro, al di là dell’aspetto ludico con cui si presentano certi video e attività inserite a scuola? Spesso si autorizzano certi percorsi, perché fa moda, ci procura illusioni ed esperienze nuove, pensiamo sia un approccio alla vita più moderno e allo stesso tempo possa salvarci da qualcosa. Varrebbe dunque la pena di applicare il detto “nel dubbio astieniti”, ma tenteremo di approfondire proprio per capire bene insieme se da certi percorsi, che forse non sono poi così naturali e innocui, conviene evitare di entrare, perché nell’economia dei dubbi, forse sono più utili e salutari due ore di piscina a settimana piuttosto che le classiche giocate a pallone con una pigna al boschetto sotto casa, per esorcizzare stress o tensione nei bambini. Questo è il punto, l’Occidente ha importato in modo maniacale negli ultimi vent’anni queste pratiche e religioni orientali come il Buddismo l’ Induismo etc, perché schiavo di tecnicismi e nevrosi compulsive che la nostra società dei consumi ha inserito nelle nostre agende di vita per creare necessità, far circolare denaro, e inevitabilmente anche  medicine per curare le nuove dipendenze che con tutto questo  disequilibrio,  nutrono  il mercato delle grandi aziende di fitness, telefonia, rete,  social,  cura dell’immagine, cibo in eccesso o niente, sballo da droghe “quelle chiamate leggere”  alcool e quant’altro. L’educazione, dice Franco Nembrini, grande maestro (altro che yoga…) è “un casino da mo’…” nel senso che non è stato mai facile educare un figlio…ma prima c’erano i Padri…quelli che miravano all’essenziale, quelli che sapevi che la sera…” tornava tuo padre” …e quindi avevi alcune, poche certezze, ma quelle, ti facevano crescere sicuro senza incertezze.

Oggi assistiamo alla grande assenza dei padri e al conseguente baratro che questa mancanza ha causato. Madri esagitate alle prese con uomini sempre meno presenti, perché sempre più alle prese con donne troppo presenti e spesso in competizione sulla scena della vita dei figli. I figli di questa generazione non sono molto diversi dal passato ma oggi devono reggere un giogo terribile che è quello del successo, a tutti i costi e dello stare al passo con tutto e tutti, ad ogni costo. I nostri figli, i nostri alunni, anche e soprattutto i più agitati, sono semplicemente il frutto di queste vite di corsa, piene di cose da fare, da ricordare, da tenere insieme, per cui anche loro vivono stressati con ansie da prestazione, nell’ambito scolastico, nel galateo, ansie da prestazione in ogni cosa che viene loro proposta/imposta, dal violino, alla danza, al corso di inglese etc…  Allora l’obiettivo di questi progetti a scuola, che con due,  tre,  massimo quattro incontri, vogliono dimostrare come si può gestire l’ansia, le problematiche di violenza in certi bambini, non insegnano altro, che attività finalizzate ad un momento  di benessere forse  momentaneo, soprattutto per le maestre ( su cui ancora non abbiamo detto “le porte che aprono e  dove portano”…) che non potrà essere risolutivo di niente, a meno che non venga  insegnato come una disciplina, di cui appunto adesso parleremo, perché essendo una modalità sconosciuta anche alla nostra cultura, potrebbe  condurci lontano, soprattutto se proposto ai bambini.

Un adulto che fa yoga, faccia pure, stia comunque attento perché non tutti gestiscono bene il distacco dello spirito dal corpo e il ritorno in esso, comunque questo articolo guarda più all’interesse dei bambini, gli adulti valutino anche il proprio percorso di fede che con lo yoga non è affatto compatibile, soprattutto se vissuto come una filosofia di vita. Progetti come le varie proposte di yoga e dintorni, hanno comunque l’obiettivo di condurre la mente e il corpo, verso astrazioni più o meno necessarie al nostro microcosmo, con un totale o un parziale distacco dalla realtà, per entrare in una nuova dimensione, di cui si conoscono “le porte di entrata” ma non sempre quelle di uscita e dove conducano la persona, nel tempo.

Come cristiani sappiamo che la vita ha un senso e un valore perché radicata nella storia, nell’oggi, nel mio oggi e non nella fuga da essa.

Superando questo aspetto, se vogliamo prettamente legato alla fede cristiana, è bene sapere che progetti come quello per esempio di Inner Peace, è nato dall’idea di istituire una giornata dedicata alla Pace nel Mondo nelle scuole, in cui gli studenti potessero sperimentare l’esperienza concreta della pace interiore, attraverso la meditazione. Poi ha concretizzato in migliaia di scuole, l’obiettivo di creare una nuova generazione di uomini che abbiano la Pace come priorità nella loro esistenza. Intenzione nobile fin qui, ma che deve rimanere oggetto dei nostri interrogativi e motore delle nostre ricerche, perché la domanda non è se la proposta è cattiva o buona, in fondo vuole la pace…ma se essa è davvero utile nell’universo di stimoli sconosciuti in cui si colloca e interagisce con la vita di mio figlio.

Se visitate la pagina del sito Inner Peace Day, dopo un’immagine che ritrae una sagoma umana in posizione “fiore di loto” (posizione in cui fanno sistemare i bambini a scuola..)

si dice questo:

Secondo la tradizione dello Yoga, la dinamica è molto semplice, anche se il meccanismo che viene attivato è di grandiosa complessità: in tutti gli esseri senzienti è presente un’energia, chiamata in sanscrito Kundalini (letteralmente “serpente femminile”, perché avvolta in tre spire e mezzo nell’osso sacro). Non è un caso che la medicina greca abbia ribattezzato in tal modo la sede di questa energia, considerando l’influenza storicamente dimostrata della cultura indiana su quella greca. Quando viene risvegliata, questa energia sale lungo la colonna vertebrale, passando attraverso i principali plessi nervosi (in sanscrito “chakra”), fino ad uscire dall’osso della fontanella. Anche questo nome, finora misterioso, alla luce di questa esperienza appare non casuale: quando fuoriesce dall’area limbica, la Kundalini può essere percepita come una brezza fresca, quasi zampillasse da una fontana. Gli effetti della Kundalini intervengono sul cosiddetto corpo sottile. Il risveglio dell’energia Kundalini, obiettivo di tutte le tecniche classiche di Yoga, è in grado di condurre la nostra mente in uno stato di consapevolezza senza pensieri, attraverso un profondo effetto rilassante e di riequilibrio sui nostri plessi nervosi, con effetti altamente positivi, riscontrabili sulla nostra salute e sulla nostra serenità interiore.

In vari siti dedicati alla pratica dello yoga si legge che la Kundalini si risveglia più spesso con la meditazione Yoga – che include Mantra Yoga, Hatha Yoga, Laya Yoga o Kriya Yoga. Un mondo insomma immerso dentro svariati stadi di meditazione,  di centri di energie …di serpenti che attorcigliati nella nostra colonna, fuoriescono e ci liberano ( la colonna vertebrale per un cristiano è nel linguaggio della fede la croce di Cristo che regge il mondo…detta anche colonna di amore…) qui si fa riferimento ad altro,  fasi alterate di coscienza a noi estranee, si parla dei sette chakra attraverso cui far uscire questa  kundalini, questa energia…capite non sappiamo proprio tutto, e perché spostare l’attenzione dei nostri bambini dal reale all’irreale, dalla fede coltivata in famiglia, alle religioni orientali dove si parla di energia vitale, principi vitali, quando tutto questo per noi cristiani e cattolici ha un solo nome, ed  è Dio, il Dio di Gesù Cristo.

Certo tutto questo ci interroga e meno male, perché le mode hanno un tempo e in questo caso possono lasciare delle tracce nel tempo, e poiché non ci è dato di conoscerne la portata, sarebbe cosa buona evitare di incamminare i bambini per vie lontane al nostro sentire e che non di rado nella storia di popoli orientali, hanno aperto vie anche all’evocazione di presenze dette buone, ma che ai nostri bambini non servono se continueranno ad avere genitori pronti a vegliare e vigliare su di loro come angeli buoni, senza appaltare ad altri e a filosofie e religioni di varia natura, il loro benessere psicofisico. Una proposta da attuare in alternativa a queste forme di religione… filosofica, sarebbe quella di insegnare ai bambini cosa significhi dedicare qualche minuto al giorno per esercitare “la preghiera del cuore” che i monaci cristiani ci hanno lasciato come un patrimonio di vera ricchezza spirituale. Un dialogo profondo con chi li ha creati, che si può insegnare ai bambini anche in casa, in famiglia, per recuperare le nostre radici cristiane, perché di questo passo a forza di far entrare progetti di ogni natura nelle scuole, si giunge facilmente a cancellare il Natale per identificarlo con la giornata della pace o dell’amore, o la Pasqua come la festa della primavera e della natura…

Millenni di storia non possiamo barattarli con esperienze filosofiche lontane dal nostro sentire, i bambini ci guardano prendono ispirazione anche dai nostri sguardi, dai nostri discorsi, dalla gioia che poniamo nelle cose che riteniamo vere, non confondiamoli, hanno bisogno di certezze e lo Yoga nel suo mondo di astrazione dalla realtà non appaga quello della concretezza di cui invece si nutrono i bambini.

Roma, 29 luglio 2018
                                                                                                                 IL Presidente

                                                                                                                 Giusy D’Amico

Yoga, neutro esercizio motorio scisso dall’ambito spirituale?

di Giulia Bovassi

Quanto appreso in merito alla situazione odierna relativa alla diffusione della pratica orientale meditativa, quale appunto lo yoga, deve stendersi sulle nostre coscienze e, di seguito, nell’agire, come un terreno di base dal quale far maturare interrogativi critici, al di là di banalizzazioni tratte dal sentire personale o comune, talvolta coordinato, come si è detto, da atteggiamenti di massa attenti alle novità. Affrontare la proposta di inserimento della pratica rituale in contesti istituzionali, nella fattispecie scolastici, siano essi cattolici o meno, pone in essere il dovere educativo e genitoriale di confrontarsi con le sue origini insieme all’attuale, occidentale, diffusione sommariamente contestualizzata alla presunta laicità sociale di buona parte dei luoghi nei quali tali proposte motorie trovano spazio. Anzitutto, allora, prendiamo atto dell’etimologia: “yoga” prende forma dalla radice “yug” che in sanscrito indica “unire”, collegare mente, corpo e coscienza profonda per raggiungere il Brahma, concetto indù equivalente a quello di Assoluto, Uno, Entità unica e infinita, governando sensi e volontà verso un’unica direzione fuori dall’ordinaria coscienza consapevole denominata “liberazione”, con termini originari “Kaivalya”. Comunemente, l’esercizio praticato secondo sequenze rituali proprie si percorre con l’invocazione del dio indù Brahma, il cui nome costituisce la tipica espressione o florilegio di suoni vocali ripetuti durante le sedute fisiche, entrando così a piedi pari nella spiritualità della disciplina nonché nello spettro religioso da cui è nata. L’evocazione più frequente, nella rapida diffusione della pratica orientale nell’Occidente, promette uno status di ampio benessere, distensione ed equilibrio: a ben guardare, in effetti, tale unità fra corpo e mente, nella quale la seconda viene pressoché approssimata all’assopimento (tant’è che generalmente cospicui insegnanti qualificano la pratica come ipnotica per il soggetto), è quanto l’ordine fra postura, meditazione e respirazione determina attraverso la ripetitività dell’esercizio motorio. Sarebbe però incompleta se venisse affrontata con approccio squisitamente ginnico, poiché il vero senso di elevazione è garantito dall’essere parte di un sistema filosofico-spirituale che fin dal II secolo a. C. viene testimoniato unitamente allo yoga nei Veda, testi sacri antichi del pensiero indiano. La valenza propria è di percorrere un tragitto il cui punto d’avvio risiede nella realtà molteplice mentre l’approdo in una condizione superiore inconoscibile normalmente, spazio dell’Uno, al servizio odierno del potere sulle pulsioni e contemporaneamente di ascesa a livelli energetici spiritualmente esperibili azzerando temporaneamente il funzionamento della mente e così la presenza cosciente della persona. Siffatti stati di coscienza alterati oggi annoverati come “relax” e “pace interiore”, dal punto di vista storico, antropologico e religioso esistono solamente in virtù della natura non motoria dello yoga, appunto la sorgente spirituale protesa al raggiungimento di un “vuoto” della mente, che nulla ha in debito con la scientificità degli studi anatomici o, ad esempio, dello stretching, con il quale viene volentieri propagandato e assimilato. A dimostrazione di quanto detto, si tengano presente i sei sentieri (alcuni parlano altresì di otto livelli) della tecnica yogica fra i quali si annoverano “Asana”, le posture; “Pranayama”, le tecniche di respirazione e “Dharana”, la concentrazione. Tre elementi centrali anche nelle consuetudinarie pratiche occidentalizzate all’interno degli asili, nelle scuole, tra i corsi offerti presso strutture sportive o parrocchiali. Raramente l’offerta ginnica italiana denomina l’esercizio “Hatha Yoga”, sintetizzando al generico yoga, mentre l’espressione complessa sarebbe opportuna negli spazi dove il programma da compiersi si articola nel mantenimento posturale e nella respirazione, le quali insieme ad altri elementi (talvolta opzionali) delineano questa scuola filosofica ben precisa dello Hatha Yoga, il cui scopo è di raggiungere l’omeostasi fra corpo, mente e spirito sfruttando come mezzi idonei a tal fine l’Asama e il Pranayama. Due sentieri che conducono, con l’interazione mente-corpo, a sbrogliare le tensioni corporee come primo canale di percorrenza per nuove energie vitali. Successivamente il sentore di gratificante “calma interiore”, dettata dallo sforzo fisico che libera la persona dalla pesantezza inflitta dal suo essere anche corpo, direzionandone i benefici e l’intensa catarsi verticalmente, tenendo ferma e stabile la postura; oltre la contrazione del limite. Il secondo step presume che la canalizzazione delle energie (Prana) oramai distaccate dal dolore converga nel dominio della respirazione che va via via rallentando provocando l’adesione a nuove dimensioni inesplorate che si aprono grazie al legame fra respiro, funzioni- stati mentali (inspirazione combacia con armonia, felicità, abbondanza; espirazione con angoscia, decadenza) e abitudini comportamentali conseguenti da far proprie nel rapporto con l’ambiente esterno. L’esercizio dello yoga è, nella sua complessità, un mezzo per evadere da se stessi e dal mondo attorno a noi, nello specifico dallo stesso corpo- involucro che abitiamo, il quale insieme all’esperienza del reale che compiamo, sono illusioni, vacuità, motivo per cui si rende assai fondamentale distaccarsi da tutto ciò per annullare ogni cosa (il Nirvana). Contrariamente a quanto insegna il cristianesimo, che è relazione e amore, perciò dall’io verso un tu, un noi, i due sono agli antipodi fra di essi: il cristiano nella meditazione cerca Dio per tendere a Lui nell’ascolto e devozione; è persona e tutto; lo yoga chiede al soggetto che egli vada a fagocitare il proprio io calato nel Sé; è solitudine, vuoto. Ipotizzare uno yoga despiritualizzato, per quanto si presti fede al mero esercizio di allungamento, postura e respirazione seguendo le indicazioni dell’insegnante, equivale ad importare parzialmente un estratto di ciò che nella totalità questa disciplina incarna, tant’è che innegabilmente chiunque nutra attenzione a quanto impartito agli iscritti dei propri corsi saprà come lo yoga occidentale faccia le veci di primo sentiero verso la scalata maggiore, cui sguardo volto altrove. Si capisce perciò come questo intreccio dialogico fra corpo-mente e spirito non potrebbe darsi se non vi fosse esternazione dell’uno nell’altro -esperienza meditativa- dove l’uomo basta a se stesso negandosi secondo terminologie assolute, sovvertitrici della “legge del karma”, un circolo vizioso di dolore sopprimibile con la liberazione ottenuta nella pratica dello yoga.

Lo yoga che si riduce a un “esercizio fisico” non trova la sua giustificazione in quanto gli esercizi fisici yoghici, che comandano generalmente di fare il contrario di quanto la natura richiede normalmente, recuperano la loro legittimazione soltanto attraverso l’obiettivo unico dello yoga: l’affrancarsi dalla condizione umana e la conquista della libertà assoluta. Non si può praticare seriamente lo yoga senza perseguire il suo scopo che è l’abolizione della molteplicità e del rapporto soggetto-oggetto e l’accesso all’unità e alla totalità tramite il ri-centramento spirituale. Gli esercizi fisici dello yoga trovano il loro senso ultimo soltanto nella metafisica religiosa in cui sono radicati e nello scopo perseguito dallo yoga. Molte “positure” yoghiche scaturiscono da atteggiamenti religiosi tradizionali o da gesti simbolici di certe divinità (R. Bergeron, O. F. M., Le cortège des fous de Dieu, ed. Paulines, Montreal 1982, p. 118).

L’esito immediato lo possiamo cogliere con facilità: l’esercizio motorio è in sé appartenente integralmente alla spiritualità di una pratica tipica di una certa ritualità religiosa. I benefici fisici, se è solo questi che si vanno cercando, potrebbero viceversa essere studiati con metodo scientifico e incanalati entro un’atletica attività estranea a riferimenti palesi con la filosofia indiana, con differente denominazione e strategia d’applicazione di modo che tutto si ridurrebbe al solo aspetto fisiologico, per beneficiare della loro validità; si badi però che gli effetti spirituali e mentali, come lo scorrere fluido di energie vitali o l’ordine, la pacatezza interiore, non si potranno ottenere se non accedendo al volto occulto dello yoga.

Giunti a queste conclusioni mi sembra opportuno sviscerare anche delle riflessioni consequenziali. Prima di tutto, come già sottolineato, quando un concetto o una simbologia vengono attinti da un preciso spazio di gestazione, non è realistico supporre di poterne alienare totalmente l’uso importato e decontestualizzato; ad affermarlo numerose testimonianze di ex insegnanti, guru attuali, nonché praticanti che trovano l’idea dell’esiguo “esercizio fisico” una banalizzazione totalmente arbitraria, impropria. In secondo luogo, proprio perché interna a ritualità filosofico- religiose determinate, si percepisce una velata assurdità che un Paese fino ad oggi mostratosi preoccupato verso la simbologia cristiana esposta in spazi pubblici, antagonista verso la proposta cristiana insegnata negli ambienti scolastici, insomma spesso premuroso nei confronti della libertà globale, anche a scapito dell’identità culturale d’appartenenza, cavalcando un moto laicista, trovi coerente e necessario indottrinare i bambini fin dall’asilo mediante l’esecuzione di attività integrative, benché il più delle volte obbligatorie, inerenti altri specifici siti religiosi. L’opposizione dovrebbe infatti valersi delle stesse ragioni che si ergerebbero contrarie a qualsivoglia suggerimento di pratiche rituali all’interno della sfera educativa, formativa, non privata, ingannevolmente surclassate nella loro natura spirituale per un generico benessere psico-fisico. Quest’ultimo punto è altrettanto rilevante: vi è crescente confusione fra mente e spirito; tra salute e benessere (fitness) tradotto il più delle volte con l’esteso significato di “felicità”. La ricerca del benessere, inteso come assenza di patologie sia fisiche che psicologiche, avvalla pretese tanto nel campo sanitario quanto in quello sportivo, nutritivo, estetico, ecc.. di essere pienamente soddisfatti anche dalle mancanze di altra origine, tipo quelle esistenziali o ancor più spirituali da assolversi altrove, annoverando fra gli obblighi declinati all’offerta del mondo quelli propri di un piacere edonista, biografico, migliorativo. Ambiguità fitta per la quale la persona riversa ogni problematica/vuoto in contenitori risolutivi apparentemente tutti identici fra loro, quando invece ciascuno incarna risposte diverse ognuna propria di un preciso settore applicativo da non confondersi o generalizzare come abbiamo visto è accaduto passando da yoga-rituale a yoga-ginnico, dualità evanescente perché sia in un caso che nell’altro alla domanda “che cosa cerchi” o “perché lo fai” la risposta è sempre: la pace, il benessere interiore; quindi il suo fardello spirituale, vanificandone l’ipotesi stessa di quel distinguo corpo-spirito. Un’altra considerazione sulla corporeità. Lo yoga si fonda sulla polarità e sull’ambivalente considerazione del corpo, dapprima quale elemento inscindibile dalla interrelazione con mente e spirito; successivamente come radicale separazione dualistica frale tre dimensioni corpo-mente-spirito, tant’è che il primo deve essere dimenticato in voce al subentrare del potere estatico della coscienza alterata su di esso. Il corpo viene usato come via d’accesso all’esplorazione di sé cercando di cogliere quanto l’avere un corpo costituisca un forte ostacolo alla liberazione. Siamo d’accordo che questo è culturalmente opposto alla concezione personalista del corpo inteso come simbolo epifanico della persona, simbolo e non costrizione, esposizione, relazione; essere e avere un corpo fuori da logiche di possesso. In occidente la staticità, il lavoro compiuto mediante e sul corpo nella pratica dello Hatha Yoga, è defluito in una sovrapposizione fra lo yoga stesso e le posizioni assunte, il controllo della funzione respiratoria, al punto da non cogliere – proprio in virtù della frattura radicale mente corpo (paradossalmente!) – quanto quel puro fare motorio sia il metodo tecnico per giungere al dominio dello spirito, correndo il pericolo di creare una lineare coincidenza fra quanto fatto sul corpo in chiave -alcuni dicono- “narcisistica”, autoreferenziale, con lo yoga globalmente inteso, esiliandosi in tal senso dal mondo esterno.

L’accrescimento di luoghi predisposti a offerte come la pratica motoria dello yoga, sono sintomo di una tensione umana causata da un vuoto e diretta alla sua compensazione spirituale/esistenziale; una tensione alla quale ciascuno si sente chiamato e che l’epoca attuale vede amplificarsi come effetto di molteplici lacerazioni, parcellizzazioni di tradizionali assetti sociali saldi, colonne portanti, a partire dalla famiglia e della proclamata “morte di Dio” nella cultura post-moderna. Fatiche incessanti di conciliazione corpo-identità, opprimono la società contemporanea, producendo discrepanze variopinte fra identità percepita e identità abitata, ovvero molti cercando di non essere più ospiti del loro corpo, ma proprietari. Uno scopo perquisito mediante auto-salvezza e arbitrarie liberazioni. Anche lo yoga, proprio servendosi dell’esplorazione del corpo al fine di evadere da esso, promuove questa visione dell’uomo e della vita, apprezzabile una volta ottenuta l’elevazione dal corpo attraverso un graduale tragitto d’adesione alla meditazione, alla filosofia ascetica (si pensi già solo alla recitazione ritmica dei mantra, invocazioni ideologiche rivolte a divinità indiane).

L’incombere di preoccupazioni per le proposte formative legate allo yoga deve essere convertito in consapevolezza critica e forza oppositiva, saggiamente convinta che il bene vero, profondo dei figli stia nell’armonia familiare garantita da presenze forti, vive e tenaci, salde nei valori sociali a promozione della maturazione in seno a percorsi esplorativi, soggettivi e/o collettivi, che siano educativi perché volti alla comunione e alla disponibilità verso l’altro, piuttosto che amalgamare la sofferenza di solitudini sparse e sciolte con pratiche filosofiche, religiose o esoteriche concentrate anch’esse sulla segregazione del singolo rifuggendo il contesto reale. Calma, ordine e concentrazione rasentano una parola: disciplina. Una società ossessionata da movimento, stress, velocità e competitività, dedito a rincorrere quel benessere di cui parlato poc’anzi, desidera arrestarsi o sopravvivere con un escamotage alla richiesta sempre maggiore, cercando compensazione con metodi di estraniazione da quella realtà altrettanto voluta quanto rifiutata? Verrebbe da chiedersi se, addurre la necessità di pratiche come lo yoga per placare i figli, non sia piuttosto un lavoro facile e di tendenza, sostitutivo all’accompagnamento difficoltoso nel mondo odierno, terreno straniero per molti bambini e giovani persi nel “di più” dell’offerta, senza che quell’abbondanza materiale si dia in maniera ultima, definitiva.

Nella scuola abitano la crescita formativa, ma anche la struttura personale dei ragazzi, molti di loro, già inghiottiti dal nulla o disorientati dall’enorme sovraccarico globalizzato di offerte mondane a tal punto massicce da indurre un incremento di iperattività, stress e angoscia dovuta alla ricerca della performance, correlato anche agli incessanti stimoli (tra cui di fondata preoccupazione l’approccio al virtuale e la gabbia nomade che esso contribuisce a tenere serrata), bramano un punto fermo in grado di far loro abitare il mondo, invece che tracciare ulteriori linee di fuga ingenuamente- inconsapevolmente trascendentali, mortificando sia la funzione della scuola stessa sia la natura religiosa dello yoga, evidentemente vanificata poiché ridotta a ciò che non rappresenta. Edificare la pace è un laborioso contributo di ritorno ai valori umani, abbandono di logiche materialiste ed efficientiste, ma non è necessaria la pratica yoga in contesti non religiosi per cogliere il degrado etico e umanitario dilagante nella morale comune, oggi costretta all’individualismo autodeterminante e al relativismo. Uno sguardo di rispetto amorevole rivolto al prossimo è il primo scoglio da superare per cooperare alla pace. I ragazzi hanno l’ardente desiderio e l’inquieto bisogno di ricominciare ad

accorgersi della loro Casa, del mondo che abitano; di vedersi come forza viva piena di valore.

Giulia Bovassi

Nota biografica: Giulia Bovassi (1991), laureata in Filosofia presso l’Università degli Studi di Padova. Attualmente laureanda al corso specialistico di Licenza in Bioetica presso l’Ateneo Pontificio Regina Apostolorum (APRA).

UNESCO Chair in Bioethics and Human Rights 

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