L’ Equipe scientifica dell’Associazione Non Si Tocca La Famiglia propone una rassegna di contributi in ordine alle recenti discussioni sull’ opportunità o meno di abolire la festa della mamma e del papà.

Pareri a confronto.

Chi ha paura della festa della mamma?

Le feste della mamma e del papà sono state per lungo tempo “osservate” come una simpatia usanza, anche se, con il passare del tempo, non si è mancato di constatare la strumentalizzazione commerciale che se ne è fatto nel nostro Paese. A fronte di una consuetudine che non si riferisce specificamente a norme scritte (non si tratta, infatti, di ricorrenze né religiose, né civili), queste feste si trovano sostanzialmente sullo stesso piano di altre “celebrazioni” consuetudinarie, come il San Valentino degli “innamorati”.

Usanze “innocue”, dunque, radicate nella mentalità del nostro Paese; eppure, oggi fanno “paura” a qualcuno, tanto che se ne vuole escludere persino la menzione nelle scuole. Si tratta di casi isolati, legati probabilmente all’ipersensibilità di persone e a situazioni circoscritte, ma è evidente che queste consuetudini sono diventate “pericolose” per i portatori o i beneficiari di qualche disegno politico e ideologico.

Non occorre entrare nel merito delle singole situazioni; basta semplicemente riportare di seguito riflessioni in proposito pervenute da persone che rivestono ruoli distinti e specifici (psicologi, insegnanti, dirigenti scolastici, genitori) nel contesto scolastico-educativo. Come il lettore potrà facilmente constatare, si tratta di riflessioni diverse sia per tono sia per contenuti, convergenti, ma anche divergenti tra loro. Le riportiamo nella loro varietà, convinti che questo sia il modo più corretto di renderne conto e lasciando al lettore stesso la possibilità di formulare il proprio punto di vista al riguardo.

Chiara Iannarelli, ad esempio, propone queste considerazioni, nella sua qualità di docente di scuola primaria:

Il valore della festa della mamma e del papà è riconoscibile anche dal punto di vista dei docenti sulla base di considerazioni che si possono così riassumere:

a) Il ruolo della scuola in riferimento al mandato costituzionale e alla normativa scolastica

La suggestione che oggi si tenta artatamente di proporre, di screditare o cancellare la festa della mamma e del papà – festa che si è festeggiata nel nostro paese anche in periodi storici oggettivamente complessi, come durante gli ultimi conflitti mondiali – si pone in contrasto con il mandato costituzionale della scuola stessa di favorire nei giovani cittadini la condivisione dei valori della nostra Costituzione: la famiglia, il pluralismo, il primato educativo dei genitori. Per cui festeggiare la mamma ed il papà va fatto in un contesto sociale adeguato di condivisione civica come è la scuola, e non solo nel privato delle proprie case.

Un argomento per confutare chi pensa che l’ abolizione di queste feste sarebbe rispettoso delle trasformazioni e sociali e culturali in atto nella nostra società o secondo i principi di uguaglianza e di pari opportunità si individua primariamente nel fatto che essa costituirebbe un evidente paradosso, poiché coloro che adducono la motivazione ipotetica di essere discriminati o che affermano di voler scongiurare la discriminazioni di bambini con situazioni familiari particolari, sarebbero artefici, a loro volta, di una gravissima discriminazione reale verso tutti gli altri bambini e genitori della classe o della scuola; discriminazioni oggi sempre più spesso agite da parte di minoranze ideologizzate. D’altro canto in democrazia è la maggioranza che decide rispettando e garantendo la minoranza anche all’interno della scuola (si veda co. 14 pp. 2 e 5 dell’art. 1 L. 107/2015), senza capovolgere questo fondamentale equilibrio, il che sarebbe esiziale per la democrazia stessa.

Vanno certo sempre ricercate modalità di condivisione rispettose del pluralismo culturale ed educativo tra scuola e famiglia, soprattutto in caso di situazioni delicate, e in caso offrire ai genitori la possibilità di astenersi, per qualunque motivo, da tali festeggiamenti.

E’ chiaro a tutti i cittadini di buon senso che la scuola non può avallare discriminazioni ‘al contrario’ né tantomeno approvare il tentativo di demolire i due riferimenti primari per una crescita equilibrata e serena di tutti i bambini.

La decisione di annullare lo specifico riferimento a mamma e papà nella scuola (come avallato a Roma da una municipalità cittadina) sarebbe gravissimo soprattutto perché proprio la comunità scolastica è il luogo in cui si dovrebbe rafforzare la valorizzazione in termini di ruolo ed importanza affettiva ed educativa di queste due principali figure di riferimento per i bambini, tanto diverse quanto necessarie per il loro sviluppo psicologico ed emotivo.

Se infatti si vuole lavorare anche per arginare quei fenomeni di conflittualità e bullismo di cui le cronache dei nostri giorni sono tristemente piene, e che in parte sono il frutto di una società che sempre più tende a scardinare il ruolo educativo della famiglia, la via maestra è proprio quella di sostenere il pubblico riconoscimento di mamma e papà anche attraverso il loro coinvolgimento sempre maggiore nella scuola che è chiamata ad aiutarli nella loro propria e primaria missione educativa. Al contrario ci troveremmo davanti ad un plateale disattendimento della più basilare ricerca della collaborazione scuola – famiglia, valore che è richiamato diffusamente ed espressamente da tutta la normativa scolastica, dalla meno alla più recente.

La scuola, per essere inclusiva, deve accogliere e rispettare le differenze, non appiattirle in favore di istanze di parte, non riguardose del pluralismo educativo e culturale che connota la nostra società e la nostra comunità scolastica: di essi il servizio educativo pubblico dovrebbe farsi strumento piuttosto che ammettere contenuti ed approcci scientificamente controversi e divisivi tra le famiglie.

Evidentemente consapevole del rischio di strumentalizzazioni in tal senso, il MIUR stesso nelle stesse Linee Guida per il Piano Nazionale per il Rispetto, emanate il 27 ottobre scorso dal Ministro Fedeli, ha stabilito che la lotta alle discriminazioni deve avvenire esclusivamente in coerenza con l’art. 3 della Costituzione: “Il suddetto comma dà attuazione ai princìpi fondamentali di pari dignità e non discriminazione di cui all’articolo 3 della Costituzione Italiana: Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali” (Linee guida co. 16 art. 1 L. 107/2015, p. 1) e ribadito formalmente che la lotta alle discriminazioni non può ammettere ideologie di alcun tipo ove: “la finalità delle Linee guida non è, dunque, quella di promuovere pensieri o azioni ispirati ad ideologie di qualsivoglia natura, bensì quella di trasmettere la conoscenza e la consapevolezza riguardo i diritti e i doveri della persona costituzionalmente garantiti” (Linee guida co. 16 art. 1 L. 107/2015 pp. 3 e 4).

Le medesime Linee Guida affermano poi, a tal riguardo, che: “Nell’esperienza soggettiva delle persone, l’incontro con l’alterità si colloca all’inizio del tempo di vita: dall’esperienza dell’essere tutt’uno con la madre si esce nella lenta necessaria costituzione di una soggettività separata” (…) “Questo è molto importante da sottolineare, perché sostiene che noi siamo relazione prima che individui. È un modello antropologico relazionale che ha implicazioni molto diverse sul piano culturale, educativo, politico, rispetto ad un modello individualista” ( p. 4).

E aggiunge che “Non esiste alcun motivo per rinunciare alla ricchezza garantita dalla piena espressione di donne e uomini nella totalità della loro umanità, già nell’accudimento della vita ai suoi inizi” (p. 6) e che “La parità, così come l’uguaglianza di diritti e doveri, non si oppone alla differenza e alle differenze, ma alla diseguaglianza, alla disparità e alle discriminazioni” (p. 13). Le suddette Linee inoltre Richiamano espressamente l’art. 29 e l’art. 30, che riconoscono e valorizzano la famiglia come società naturale fondata sul matrimonio e il primato educativo dei genitori.

Anche la normativa pare accorgersi, dunque, che non c’è discriminazione alcuna nel festeggiare la persona che ha donato la vita al bambino e che rappresenta per esso una figura di riferimento fondamentale, secondo tutta la pedagogia e il semplice dato di realtà. Altrimenti dovrebbero essere abolite tutte le feste del calendario e cancellati i riferimenti alle madri e ai padri nell’arte e nella letteratura, o eliminati quelli che camminano per strada, per non discriminare nessuno.

Sarebbe ideologico proprio il voler cancellare queste feste che celebrano i massimi simboli dell’umanità in nome del non discriminare, dato che tutti sono nascono da una mamma ed un papà come chiunque. Perché la mamma ed il papà sono i fondamenti dell’umanità e vanno difesi, a prescindere dal personale credo o condizione, nella società e nella scuola, come naturali riferimenti affettivi, educativi e sociali. Cancellandole potremmo dire che ad essere discriminato sarebbe “soltanto” l’intero genere umano!

E’ dunque evidente, anche alla luce di quando indicato dal MIUR in campo educativo e didattico, che negare le differenze e le reciproche complementarietà è la vera discriminazione. La scuola deve certo educare al rispetto di tutti ma non può contraddire l’intervento educativo ed esperienziale della famiglia.

Aggiungiamo che la convinzione che queste feste siano da cancellare – in quanto si rifanno a stereotipi superati – non solo è un concetto puramente assolutamente controverso ma altresì ridicolo, in quanto i figli continuano a nascere, nonostante tutto, da questo stereotipo dell’unione sessuale di un maschio e di una femmina.

Sostituire la celebrazione di queste due figure con quella generica delle ‘famiglie’ come proposto da alcune parti sarebbe come se, in alternativa alla giornata dei diritti della donna, dei minori, dei lavoratori, degli ammalati etc.si proponessero giornate per i “diritti di tutti” indistintamente, in modo da non discriminare nessuno.

Se democrazia significa soprattutto rispettare i diritti della persona e delle minoranze, questo non può portare ad annullare i diritti delle maggioranze, ma piuttosto a trovare di volta in volta le modalità per rispettare le decisioni delle maggioranze, salvaguardando le minoranze e l’obiezione di coscienza delle persone.

La soluzione all’istanza di una minoranza non può essere quella di togliere qualcosa a tutti poiché l’inclusione non è qualcosa che si possa imporre con la scure, ma deve essere posta in essere con un rispetto delle differenze che non sia a senso unico. Altrimenti Il risultato ottenuto sarebbe non di vera inclusione ma di prevaricazione di una parte sull’altra.

Sembra paradossale che queste feste debbano essere difese attraverso una mozione, ma stando così le cose sottolineiamo come sia molto importante che tutto il Comune di Roma attraverso l’Assemblea abbia fatto propria questa istanza, approvando all’ unanimità una mozione a salvaguardia di tali feste nelle scuole per sottolineare che esse hanno un valore per la società. Una verità tanto autoevidente che tutte le forze politiche hanno messo da parte le divisioni di partito e si sono trovate in accordo nell’affermare congiuntamente la fondamentale importanza di queste due figure, il cui festeggiamento non è in alcun modo discriminante, e sulle quali la politica dovrebbe investire di più favorendo la loro valorizzazione nella scuola e non solo, per il bene della società intera. Di oggi e di domani.

Si fa sempre più evidente che il nuovo “pensiero unico dei desideri e diritti” e della falsa tolleranza stia pericolosamente impattando sulla scuola come sulla società ed è indispensabile una presa di consapevolezza decisa da parte della società stessa, rappresentata da tutti noi.

Ci sembra che questo sia un punto in positivo da cui ripartire per assumere un ruolo attivo nella espressione concreta della nostra responsabilità educativa, civile, umana.

b) Il ruolo degli inseganti in riferimento alla funzione docente. L’ esperienza di una maestra.

Nella mia esperienza ventennale nella scuola primaria statale, è realtà quotidiana avere a che fare con bambini con situazioni familiari complesse e delicate (orfani, appartenenti a famiglie monogenitoriali o ricostituite, di diverso credo religioso o abitudini familiari, ecc).

In ogni caso, una volta riconosciuta l’importanza educativa e civica del valorizzare le figure del papà e della mamma anche attraverso queste feste, ho sempre ricercato delle modalità di festeggiamento adeguate a tutte le situazioni, che non mettessero in difficoltà alcun alunno ma al tempo stesso non privassero tutti gli alunni della possibilità di festeggiare chi li ha messi al mondo e li ama. Perché tutti i bambini hanno una mamma ed un papà.

Anche in caso di separazioni difficili il figlio sa che il papà o la mamma esistono. Lasciare la possibilità di realizzare come tutti il regalo rende i bambini tutti uguali. Va evitato di far sentire diverso un bambino provocando in lui un senso di inadeguatezza – seppur non espresso – perché “non ha un papà”. Può preparare un regalo anche solo esprimendo un pensiero o conservarlo per un momento opportuno. Persino quando un genitore muore può essere fatta la poesia o il lavoretto. È il ricordo che genera la soluzione al dolore; rimuovere o negare non serve e anzi può essere dannoso. Ciò che serve davvero è accompagnare i bambini ad affrontarlo.

Nel caso di famiglie ricostruite il bambino può portare a casa un dono per i genitori naturali e anche ai loro nuovi compagni o coniugi. I bambini hanno sempre bisogno di sentire vive le proprie origini per sentir rinforzata la propria identità, anche se i genitori sono separati, lontani da casa, o non più viventi; certo senza forzature e condividendo ogni passo con i familiari.

Nel caso particolare dei figli di coppie omosessuali molti insegnanti confondono il dovere professionale e morale di far sentire accolti i loro figli (come i figli di tutti) e la propensione a normalizzare tutte le situazioni familiari e i modelli affettivi e sessuali, annullando tutte le differenze e trasmettendo poi – se non imponendo – questa visione “di parte” e controversa, a tutti gli altri alunni (come nel caso dei famosi libretti con “due mamme” o “due papà”)

Ciò non solo non ci è richiesto in qualità di insegnanti ma sarebbe anche pedagogicamente infondato, scorretto in riferimento alla normativa in quanto porterebbe di fatto ad un abuso della nostra funzione docente e ad un vero e proprio indottrinamento a senso unico degli alunni

Come afferma il pedagogista Norberto Galli, la scuola in materia di educazione affettiva “ è chiamata ad affrontare il problema della sessualità secondo un’ antropologia debole, giacchè non ha una sua teoria da impartire agli alunni circa la psicoaffettività, bensì l’ obbligo di illustrare le varie dottrine in tono obiettivo, critico, riflessivo. Al contrario la famiglia opera sempre in virtù di un’antropologia forte, dal momento che i genitori con i fatti e le parole, trasmettono ai figli una concezione precisa della sessualità, della quale potranno stimare il valore dei contenuti, previo confronto con quelli di altri”(“Orientamenti pedagogici per l’ educazione della sessualità” p.261)

Per concludere “Chi ha un perché poi trova un come” si dice e i maestri – si sa – sono per loro natura creativi. Tutto sta a sapere qual è l’obiettivo giusto da centrare.

E così inventeranno la festa a misura di tutti i bambini, avranno cura maggiore per il bambino che si trova nella situazione più delicata che avrà il lavoretto più bello e speciale, o per farlo sentire a suo agio tutta la classe farà un lavoretto più adattabile alla sua situazione. Con la mia classe ho lanciato palloncini in cielo per tutte le mamme tra i quali il più colorato era per la mamma “ in cielo”; portato lavoretti sulla tomba della mamma morta, sempre condividendo ogni passo con la famiglia e sempre riscontrando grandi benefici in quel bambino. Per altri bambini ho preparato doppi lavoretti o regalini ad hoc.

Ma anche se costa tempo e fatica un educatore deve salvaguardare la festa del papà e della mamma e questo non è banale: perché il bene dei bambini viene prima di tutto e chi guarda nei loro occhi ogni giorno qual è il loro bene lo sa senza alcun dubbio.

Con forme ed accenti diversi, anche un’altra insegnante, Giusy D’Amico, si esprime in maniera concorde:

Non aboliamo le feste del papà e della mamma, perché anche se fisicamente non sono presenti nella vita di qualche bambino (per tutti i diversi motivi che possiamo immaginare) nell’immaginario di ogni bambino c’è sempre un padre.

I bambini anche a scuola cercano la festa del papà e della mamma, identificando una figura maschile o femminile cui rivolgere attenzioni, affetto e pensieri per colmare il grande vuoto causato dalla loro mancanza.
Un bambino abbandonato dal padre porterà la ferita dell’ abbandono per tutta la vita e forse in questo giorno penserà a lui, gli scriverà una lettera, proverà ad elaborare il dolore insieme ad altri compagni, per non averlo mai conosciuto o forse per averlo perduto, ma avrà modo di parlarne, di parlargli con una lettera dove forse gli dirà parole d’amore, o forse lo accuserà, questo con la guida dell’insegnante può diventare addirittura terapeutico.

Anche un bambino orfano ha un padre e lo invoca dal cielo in questo giorno, lo festeggia per presto riabbracciarlo…anche un bambino con due mamme ha un padre che lo ha generato. Negare a lui la verità dei fatti sarebbe crudele e poiché tutti abbiamo avuto un papà che ci ha fatto nascere anche se non ci fosse dato di conoscerlo ci sia concesso almeno di ricordarlo, di pensare a lui.

Questo significa non discriminare perché tutti abbiamo avuto un padre e tutti abbiamo il diritto di poter pensare a lui senza che altri inducano la nostra memoria a cancellare le radici della nostra identità.

La mia esperienza di insegnante quest’anno con una quinta elementare, mi ha dato modo di osservare in tre bambini particolarmente segnati dal vuoto della figura paterna, atteggiamenti profondamente ricchi di umanità oltre che desiderosi di vivere con i compagni una condizione da” figli” che se pur diversa potesse dar loro la serenità di vivere il “loro personalissimo “rapporto con una figura che ha fatto loro da padre o da madre sostituendo quanto mancava in loro per tenere salda la costruzione della loro identità.

Non vi è identità senza origine, senza un legame che almeno riconosciamo come fondante al nostro desiderio di appartenenza e di relazione.

Elisa (userò nomi di fantasia) fin da piccola ha avuto un nonno che ha sostituito la figura del padre che le è sempre mancato, lo comunica attraverso il biglietto della festa del papà manifestando come questa relazione abbia curato le ferite dell’abbandono.

Giovanni scrive ogni anno lettere appassionate al suo papà in cielo da mettere sotto la sua foto sul comodino, o da portare al cimitero…scopre in dialoghi privati con la sua maestra di avere due papà in cielo : il suo padre naturale e Dio Padre, sa di essere protetto e guardato da angeli premurosi arruolati per lui da suo papà…parla con lui nella lettera, chiede protezione e promette amore eterno.

Giovanna ha il papà in carcere da tre anni, lo vede poco, pensa spesso a lui soprattutto perché combatte anche con una grave malattia, per lei la lettera al papà è qualcosa che le consente nel giorno della sua festa di onorarlo in modo speciale, potrà portarla a mano se può ma la riempie di gioia sapere che riceverà un dono dalla sua Giovanna.

Non occorre elaborare trattati sulle occasioni che positivamente incidono nel percorso scolastico di un bambino come quella della semplice festa del papa e della mamma, , serve solo non iniettare ideologia nella scuola soprattutto in circostanze che si sono sempre rivelate a scuola un pretesto gioioso, leggero e diretto nella sensibilità del bambino e che richiede in casi particolari solo di accordare le diverse sensibilità con cui viverle, proprio a vantaggio di quei bambini che se pur orfani, abbandonati, o con due padri piuttosto che con due madri, è giusto che si ricongiungano con la realtà che non si può oscurare, tutti siamo nati da un padre e da una madre.

Entrando nello specifico di una situazione politica alquanto “ingarbugliata”, un’esperta come Alessandra Savelli così scrive:

Il bambino che non può festeggiare la festa della mamma perché la mamma non c’è dal momento che ha due genitori omosessuali. Sarà proprio così? Veramente possiamo dire che non è nato da donna? Una donna forse costretta da una situazione economica sfavorevole, che ancora pensa a quel figlio “dato via” e che magari vorrebbe incontrare di nuovo almeno una volta. Si anche lui ha una mamma, che non vedrà mai. E per questo motivo i suoi compagni non possono festeggiare la loro mamma con il solito lavoretto annuale. Cancelliamo l’incancellabile! Buona festa della mamma!

Sulla stessa, appassionata lunghezza d’onda, anche Paolo Scapellato ricorda quali siano le origini delle feste “incriminate”:

Prima di abolire una tradizione sarebbe importante conoscerne la storia e le finalità per le quali è stata celebrata per tanti anni. La festa del papà si colloca nel giorno dell’anno dedicato a S. Giuseppe, padre umano di Gesù; così la festa del padre umile e saggio diventa la festa di tutti i padri che in lui riconoscono un esempio. La festa della mamma invece ha molte origini, dato che in varie epoche e in varie culture troviamo festeggiamenti specifici con vari significati, tutti riconducibili comunque a celebrare la maternità e il ruolo sociale della madre. Quella che noi festeggiamo in Italia ha origine negli anni ’50 da due iniziative di diversa natura, una civile l’altra religiosa. Ormai è tradizione che la scuola inviti i propri alunni a preparare un regalo, fatto con le proprie mani, da consegnare al papà e alla mamma nelle rispettive feste, accompagnato dalla recitazione di una poesia.

Quali sono i valori educativi di queste tradizioni? Principalmente due:

1. Il periodo della scuola dell’Infanzia e della Primaria vede un forte sviluppo delle capacità affettive del bambino, il quale, da oggetto d’amore da parte dei genitori, diventa capace di promuovere gesti affettuosi e quindi di “dare amore”. Il fatto che la scuola promuova tali iniziative spinge il bambino a dare una forma a questo amore (il lavoretto) e gli fa sperimentare la bellezza del donare, attraverso il riconoscimento della gioia nel viso del proprio genitore. Sono quindi momenti importanti, seppur non esclusivi, per lo sviluppo dell’affettività.

2. L’importanza di tenere distinte le due feste risiede nella necessità di far impegnare il bambino in attività legate alla riflessione intorno al concetto di madre e padre, ognuno con le proprie caratteristiche e i propri ruoli. Fare lavoretti manuali e imparare poesie sono due attività costanti in quelle fasce d’età ed è bello, due volte l’anno, poter dedicare le proprie energie a “far contenti” la mamma e il papà.

Un ex-dirigente scolastico, Giuseppe Bruno, commenta opportunamente le vicende recenti di una scuola romana, definendole “autodiscriminanti”:

Non uccidete la scuola! Una scuola è viva se trasmette verità e non menzogne, se abitua a ragionare non ad imparare. Se è un luogo di dialogo e non di scontro. Se chiama le cose con il loro nome e non con nomi falsi. Se è un luogo di ricerca del sapere e della verità, quella possibile, e non di condizionamento delle menti soprattutto di quelle più malleabili. Enormi responsabilità ci inchiodano, cari colleghi educatori, qualunque sia il nostro ruolo: dirigenti, staff, docenti, genitori. Più piccoli sono i nostri alunni maggiore deve essere il rispetto di questi principi. Se no la scuola è morta, anche se può sembrare viva e scintillante, piena di progetti, di attività definite, da chi di mestiere, all’avanguardia, protagonista esemplare sui media di regime. Ma se la scuola per essere viva deve essere così come definire quelle scuole dove si trasmettono senza che ci sia vero dialogo, confronto tra dirigenti, docenti, genitori ecc., spesso seguendo improvvidamente e illegittimamente le direttive di qualche ente politicizzato che paga le spese e la scuola, contenuti che non hanno verità scientifica e la cui legittimità è data solo dalla “moda”. Luoghi dove il terrore di essere irrispettosi di minoranze agguerrite e sostenute fa perdere il lume della ragione a coloro che hanno la responsabilità di trasmettere il sapere, la cultura, i valori di una società. Prendiamo i recenti casi dove addirittura si è pensato di sacrificare sull’altare della “moda” di quello che chiamiamo “il politicamente corretto” persino la democrazia. In un asilo di Roma la soppressione della festa del papà e della festa della mamma per un presunto rispetto verso una coppia omogenitoriale.

Nessuno li avrebbe obbligati a partecipare a detta festa essendo per forza di cose attività didattica extra scolastica e quindi facoltativa. Come si sia arrivati a rovesciare il principio fondamentale della Democrazia in questa scuola resta dal punto di vista logico un mistero, dal punto di vista ideologico è invece estremamente chiaro.

Certo a parziale, ma non del tutto comprensibile attenuante della antidemocratica decisione di chi al vertice ha stabilito (e che ha lasciato di stucco i genitori i quali si sono giustamente, ma inutilmente ribellati) c’è la strana e autodiscriminante iniziativa di una coppia omogenitoriale la quale, contraddicendo quanto sostiene il proprio mainstream ufficiale e cioè che una coppia di genitori dello stesso sesso non ha niente di meno rispetto a quella di genitori di sesso diverso, si è sentita discriminata, chissà perché, dalla celebrazione della tradizionale e attesa dalla stragrande maggioranza dei genitori, festa del papà.

Credo che se dovesse passare come sistema l’assurda logica che è stata richiesta in quell’asilo di Roma non dovremmo più cantare l’Inno di Mameli per rispetto degli immigrati o addirittura abbattere i campanili delle nostre centinaia di migliaia di Chiese per rispetto dei non cristiani. Mah! Al di là della normativa basterebbe solo il buon senso a far si che non si verifichino le tante assurde situazioni che si stanno verificando in scuole che scambiano l’essere proni al pensiero dominante di agguerrite e sostenute minoranze, con la vera democrazia.

Infine una parola sugli stereotipi. Definire la famiglia naturale, chiamandola tradizionale, uno stereotipo, sempre per il rispetto delle suddette minoranze, significa mistificare la realtà e insegnare quelle menzogne che una scuola viva, come dicevamo all’inizio non può insegnare. Almeno si dicesse che questo “streotipo” basato sull’unione relazionale e sessuale tra un maschio e una femmina è ciò che continua a trasmettere la vita e tenere viva una società viceversa votata all’estinzione.

Anche Marzia Masiello, dell’associazione Amici dei Bambini, che da oltre trent’anni è impegnata per garantire il diritto di essere figlio di tutti i bambini fuori dalla famiglia. Propone considerazioni significative e condivisibili:

In ogni situazione, progetto, percorso, accoglienza, adozione … abbiamo potuto constatare quanto sia lacerante la ferita dell’abbandono.

Spesso nelle nostre settimane estive, in seminari, laboratori, abbiamo potuto ascoltare la voce di quei figli abbandonati che nella vita quotidiana si sono misurati in maniera drammatica con i grandi interrogativi esistenziali. Alle domande “chi sono?” “a chi appartengo?” un bambino abbandonato che non viene accolto, riesce difficilmente a dare una risposta.

Il diritto di essere figlio, figlio di una mamma e di un papà, garantisce al bambino di potersi misurare con le sfide della vita avendo nei genitori due punti di riferimento essenziali per la sua crescita armonica come persona.

Come associazione negli anni passati proponemmo che venisse istituita la festa del figlio come la festa della mamma e del papà. Abbiamo nel frattempo salutato felicemente la festa dei nonni, componenti essenziali nel nucleo familiare, depositari di memoria e sapienza, oltre che di educazione intergenerazionale.

Recuperare la bellezza di tali festività significa affermare la potenza e la capacità della famiglia che nel mondo è la chiave di accesso al senso dell’essere se stessi in relazione all’altro da sé.

Essere se stessi vuol dire aver avuto la possibilità di confrontarsi con l’universo maschile e femminile e crescere così, come adulto consapevole e responsabile. Festeggiare una madre e un padre per un figlio vuol dire sapere di appartenere e di essere protetto, di essere guidato e di essere educato nelle sfide del mondo. Insieme alla festa della mamma del papà e dei nonni, speriamo che presto possa essere riconosciuta anche la festa dei figli.

Il parere di una psicologa contribuisce a puntualizzare ulteriormente alcuni aspetti della questione; Patrizia Lilla illustra con argomentazioni convincenti come ai cambiamenti sociali non debbano necessariamente corrispondere alterazioni indotte degli orientamenti valoriali:

Tra GENERE E SOCIETÁ, SE CAMBIANO I RUOLI DEVONO CAMBIARE ANCHE LE TRADIZIONI?

Tutti i sistemi culturali hanno una propria peculiarità e pari dignità ma non sono equivalenti, nella stessa misura in cui i gruppi sociali non possono definirsi uguali. Questa constatazione non implica in alcun modo un giudizio di valore, evidenzia solamente l’eterogeneità e la dinamicità tipiche di tali sistemi, basati sul consenso e quindi soggetti a cambiamenti. La localizzazione delle azioni umane nel tempo storico e nello spazio sociale permette di cogliere l’importanza e la tipicità delle condotte e delle credenze che le sottendono. La “Cultura” è la capacità di produrre e riprodurre comportamenti e visioni del mondo (cornici onnicomprensive, apprese e condivise, che racchiudono tutti gli assunti comuni usati per interpretare la realtà esperita) che permettono la sopravvivenza della specie umana, in mancanza di una programmazione genetica altamente specializzata, che implica cure indirette o dirette ma con un investimento parentale limitato nel tempo. È evidente la forte interrelazione tra biologia e cultura, l’una consente il perpetuarsi dell’altra. Organismo, ambiente fisico e pratiche simboliche si codeterminano e nel tempo possono coevolvere. Ne deriva che la Cultura e le culture (insieme dei comportamenti e delle idee caratteristici di un dato gruppo sociale) sono per loro natura simboliche ma soprattutto adattative, in quanto forniscono gli strumenti per modificare il bioma in funzione delle esigenze del gruppo umano che lo abita. Questa peculiarità è assimilabile al meccanismo darwiniano della selezione naturale, non è il singolo esemplare ad evolvere ma le popolazioni di una specie, in funzione della loro relazione con l’ambiente. Nel caso dell’essere umano l’evoluzione ha selezionato particolari adattamenti come la cultura. Attraverso una serie di passaggi si producono tradizioni culturali, che accomunano e/o differenziano i gruppi umani. Alcune caratteristiche comportamentali sono iscritte nel patrimonio genetico, mentre altri tratti vengono appresi culturalmente da tutti gli individui di una determinata comunità (l’evoluzione culturale è un fenomeno popolazionale), all’interno della quale si costruiscono abitudini e tradizioni, cioè modelli di comportamento adottati nel passato e riproposti attraverso la socializzazione. Altro prodotto delle abilità simboliche umane è l’Istituzione, una forma complessa, variabile, ma persistente, di pratiche culturali che permettono di organizzare la vita sociale. Nel corso di questo processo di apprendimento socializzato e condiviso, gli esseri umani imparano rapidamente quello che la specie, in generale, e la specifica società, in particolare, hanno accumulato nel corso dell’evoluzione culturale, quindi, un enorme patrimonio di acquisizioni, saperi e conoscenze. La gran parte di tale patrimonio si presenta sotto forma di abitudine, un sapere che non richiede, per tradursi in azioni e comportamenti, processi riflessivi e decisionali ma volontà e deliberazione. Si tratta di modelli di comportamento attivati automaticamente davanti ad una realtà nota e rispondente ad aspettative, inconsapevolmente nutrite. Le abitudini regolano il comportamento secondo norme implicite condivise. Appartengono ad un sapere ereditato, accumulato nelle generazioni e quotidianamente agito, ma non monitorato dal controllo cosciente. Le tradizioni, invece, rientrano in quella parte della cultura consapevolmente tutelata per assicurarne la trasmissione nella memoria collettiva, attuale e futura. Una società acquista consapevolezza della propria esistenza ed assicura la propria identità nel tempo, quando i suoi membri riconoscono di avere delle tradizioni in comune e sviluppano un senso di appartenenza, che trascende la dimensione hic et nunc, andando a comprendere tutte le generazioni, presenti, passate e future. Una società, dunque, non è un fenomeno sincronico, non può esistere se non ha una durata e la relativa consapevolezza. Il confine tra abitudini e tradizioni è fluido, le une possono trasformarsi nelle altre e viceversa. Ciò che resta costante è il rapporto che intrattengono con la memoria. Le prime sono legate ad una forma di memoria involontaria, la cui trasmissione avviene in modo “naturale”; le seconde, invece, ad una memoria volontaria, che richiede l’intervento di custodi, interpreti e mediatori. Si può parlare dunque di memoria genetica sia individuale (iscritta nel patrimonio genetico trasmesso dai genitori ai figli), sia di una determinata popolazione, sia di un’intera specie (ad esempio, quella della specie Homo sapiens sapiens) e di una memoria sociale nella quale si esprimono le identità di gruppo. Le pratiche sociali che danno origine a tali memorie collettive si attuano nel contesto familiare (il culto degli antenati, la ricostruzione della genealogia, l’albo delle fotografie di famiglia, la trasmissione di oggetti simbolici da una generazione alla successiva), nella comunità religiosa (il corpo sacerdotale custodisce le sacre scritture, è depositario del loro significato intrinseco, di cui fornisce l’interpretazione ufficiale attraverso la gestione dell’apparato rituale), nel gruppo professionale (trasmissione di competenze e di simboli) e nella classe sociale d’appartenenza. Ogni cultura propone schemi prototipici usati per codificare e collocare le esperienze, giudicare quelle nuove e classificarle. L’analisi delle rappresentazioni mentali, simboliche, dei membri di uno specifico gruppo umano permette di cogliere differenze interculturali ed intraculturali, determinate dai differenti vincoli ecologici e storico-culturali, che vanno a caratterizzare gli ambienti ed i contesti di vita. A questi è legata anche la pluralità di punti di vista, offerta dalla contemporanea appartenenza dell’individuo a diversi gruppi all’interno della società, che comporta la scelta di alcuni ed il rifiuto di altri. Gli schemi di acculturazione e socializzazione, pertanto, si differenziano sulla base di una serie di variabili e l’influsso di diversi fattori, non generalizzabili in un’unica matrice bioculturale, quali: percezione, cognizione, motivazione, logica, giudizi, valutazioni, emozioni e soggettività individuale, che spesso è fonte di innovazioni e cambiamenti (Schultz et al., 2010). Affermare che le trasformazioni di alcuni aspetti del sistema culturale di una società siano prodotte dall’azione umana, capace di introdurre elementi nuovi che ne rendono altri obsoleti, conferma lo schema evolutivo della strutturazione dell’impianto culturale. La cultura può essere vista come un “atto creativo” sostanziato e rigenerato nel passaggio da una generazione all’altra.

Questa lunga introduzione serve ad esplicitare i presupposti antropologici, quindi scientifici, da cui parte la mia riflessione sulle nuove istanze avanzate dalle coppie omogenitoriali che richiedono l’abolizione delle giornate dedicate alla mamma ed al papà. In questo momento storico sono fortemente messi in discussione sia i criteri a cui far riferimento per il processo di definizione dell’identità di genere, la polarizzazione tra ruoli e le pratiche legate alla sessualità, da nuove ideologie sempre più legittimate e socializzate istituzionalmente, sia le tradizioni legate all’ordinamento familiare. Il cambiamento è in fieri e non si può non prenderne atto ma mi domando quanto sia “ontologicamente” corretta questa richiesta. La cultura ha un valore adattativo e le tradizioni permettono agli individui di riconoscersi come membri del gruppo d’appartenenza. Il cambiamento è insito nel processo evolutivo, sia a livello genetico che culturale ma mi chiedo se quello a cui assistiamo garantisca effettivamente un passo avanti per la specie. Non c’è un giudizio di valore nelle mie parole, mi limito ad esternare dubbi. Non sarebbe forse più giusto istituire una nuova festa che celebri la famiglia piuttosto che disconoscere ruoli che la matrice biologica della specie non permette di superare? Includere vuol dire sostanzialmente accogliere, l’integrazione non si identifica con la cancellazione delle diversità ma con la loro accettazione e valorizzazione. Anche i figli di queste coppie sono stati generati dall’incontro di un uomo ed una donna, rinnegare l’uno o l’altro non è rifiutare una parte di quel bambino tanto desiderato? D’altronde non gli si può nascondere la sua origine. La dicotomia sessuale è una realtà a cui non ci si può sottrarre se si vuole generare della prole, a prescindere dall’orientamento che si ha in questo ambito. Non capisco perché l’affermazione di un diritto debba passare attraverso la soppressione di un suo pari, perché il rispetto per una realtà debba cancellare quello dovuto alla controparte. La filosofia gender propone, con una pressione sempre più intensa, il superamento del genere ed una sessualità queer, non definita. Uno degli esiti di questa prospettiva è la messa in discussione del modello di “famiglia naturale”. Il Transumanesimo va anche oltre, prospettando un’evoluzione autodiretta della specie, grazie alla tecnologia, che superi i limiti della condizione biologica dell’esistenza umana. Il movimento culturale ha ottenuto riconoscimenti anche legislativi, adozioni e genitori surrogati per le coppie omogenitoriali. Occorre integrare questo dato nel sistema culturale, come una delle realtà possibili senza cancellare la dignità di chi è “altro”. Ognuno vive secondo la propria natura. Il voler legittimare le nuove strutture familiari ha esasperato le posizioni dei relativi sostenitori, rinnegando e svilendo ciò che ha caratterizzato la cultura predominante in Occidente fino ad oggi, ossia la famiglia “naturale”. Credo che la strada da intraprendere sia quella della temperanza e della tolleranza da ambo le parti. Occorre insegnare alle nuove generazioni, ma a questo punto anche alle vecchie direi, ad affrontare una realtà polimorfa senza pregiudizi e con consapevolezza. È lecito chiedersi se l’esistenza di due sessi genotipici comporti necessariamente una classificazione gerarchica, finora alla base del sistema di disuguaglianze socioculturali che ha determinato storicamente la diversa attribuzione di valore ai generi sul piano sociopolitico, economico e simbolico, privilegiando il dominio degli uomini sulle donne, in termini di gruppi sociali non di singoli individui, con numerose ricadute nell’organizzazione e nella strutturazione dei contesti di vita. Il processo di revisione di questa asimmetria è iniziato da qualche decennio, modificando progressivamente il sistema simbolico che traduce metafore finalizzate all’ordinamento degli individui, in base alle loro differenze con l’alterità, e del sistema sociale nel suo complesso. Sono gli stereotipi che dividono gli esseri umani in categorie antitetiche che dovrebbero essere superati. Uomini e donne, etero ed omosessuali, “homo homini lupus” o, come recita la canzone vincitrice dell’ultimo festival di Sanremo, “scambiamoci la pelle in fondo siamo umani”? Possiamo integrare il cambiamento nelle nostra visione del mondo ma non possiamo generare prole senza l’incontro di due gameti diversi. La natura ci insegna che la vita si fonda sulla diversità, che va rispettata ed accettata.

Giuseppe Richiedei, Ex Dirigente Scolastico puntualizza in maniera precisa quelle che sono le coordinate entro le quali è possibile concepire e realizzare in maniera adeguata e senza alcuna forzatura “ideologica” iniziative come le feste in questione nell’ambiente e nell’orario della scuola:

Per la festa della mamma ritengo importante l’interpretazione delle normative in vigore partendo dal dispositivo della sentenza del Consiglio di Stato 27 marzo 2017, N. 1388: “Deve quindi concludersi che (le iniziative come la benedizione pasquale, piuttosto che la festa della mamma o del papà…etc..) nelle scuole non possa in alcun modo incidere sullo svolgimento della didattica e della vita scolastica in generale. E ciò non diversamente dalle diverse attività “parascolastiche “che, oltretutto, possono essere programmate o autorizzate dagli organi di autonomia delle singole scuole anche senza una formale delibera…. Ed ancora, c’è da chiedersi come sia possibile che un (minimo) impiego di tempo sottratto alle ordinarie attività scolastiche, sia del tutto legittimo o tollerabile se rivolto a consentire la partecipazione degli studenti ad attività “parascolastiche” diverse da quella di cui trattasi, ad esempio di natura culturale o sportiva, o anche semplicemente ricreativa”.

Quindi si può fare riferimento al nuovo Contratto di lavoro – 2018 che chiarisce alcuni passaggi:

Art. 24, comma 3: Nella predisposizione del Piano viene assicurata priorità all’erogazione dell’offerta formativa ordinamentale (con cattedra, valutazione esami finali come da Indicazioni Nazionali ed anche con possibilità di nominare supplenti in caso di assenza) e alle attività che ne assicurano un incremento, (sinonimo di potenziamento, arricchimento, ecc.)

Art. 28, comma 1: l’orario di insegnamento (25 – 18 ore) può anche essere parzialmente o integralmente destinato allo svolgimento di attività per il potenziamento dell’offerta formativa […];

Il potenziamento dell’offerta formativa comprende le attività di istruzione, orientamento, formazione, inclusione scolastica, diritto allo studio […] ulteriori (attività “ulteriori” non nel senso di orario aggiuntivo ma di attività differenti sulle quali non è possibile nominare supplente in caso di assenza del titolare) rispetto a quelle occorrenti per assicurare la realizzazione degli ordinamenti scolastici, per l’attuazione degli obiettivi di cui all’articolo 1, comma 7, della legge 13 luglio 2015, n. 107.

Tra questi obiettivi individuerei il comma 7 (capoverso m) valorizzazione della scuola intesa come comunità attiva, aperta al territorio e in grado di sviluppare e aumentare l’interazione con le famiglie e con la comunità locale, comprese le organizzazioni del terzo settore e le imprese, con l’aggiunta del comma 14,capoverso 5: «Ai fini della predisposizione del piano, il dirigente scolastico promuove i necessari rapporti con gli enti locali e con le diverse realtà istituzionali, culturali, sociali ed economiche operanti nel territorio; tiene altresì conto delle proposte e dei pareri formulati dagli organismi e dalle associazioni dei genitori e, per le scuole secondarie di secondo grado, degli studenti».

Quindi i docenti, previa preventiva informazione e libera adesione, possono organizzare la festa della mamma come “attività ulteriore rispetto all’offerta formativa ordinamentale per “aumentare l’interazione con le famiglie”.

Se i docenti non prendessero l’iniziativa, possono gli stessi genitori (in associazione o nei consigli di classe – interclasse, di Istituto) proporre la festa del papà e la festa della mamma come “attività di potenziamento dell’offerta formativa” alla pari di altre attività “parascolastiche” di natura culturale o sportiva, o anche semplicemente ricreativa.

A queste considerazioni di carattere metodologico e amministrativo è bene riferirsi per inquadrare la questione, interpretare adeguatamente quanto è avvenuto, e continuare a dialogare tra persone che, nelle singole situazioni, possono trovarsi su posizioni diverse, ma non per questo percepirsi come collocate su fronti contrapposti. Le stesse opinioni espresse dagli interventi sopra riportati, infatti, non sono sempre coincidenti nei toni e nelle argomentazioni; una varietà persino maggiore di orientamenti è presente nei lettori e nella vasta cerchia di tutti coloro che, a vario titolo, possono essere interessati al problema; il punto centrale è trovare sempre la l’equilibrio nella verifica delle posizioni proprie ed altrui.

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Roma, 13 maggio 2018

                   L’Associazione Non Si Tocca La Famiglia

             L’ Equipe scientifica

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