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Il sindaco di Roma impone corsi di formazione Lgbtqia+ agli insegnanti degli asili

mentre crescono le perplessità scientifiche sull’approccio affermativo alla disforia di genere nei minori, di LUCIA COMELLI

Il sindaco di Roma impone corsi di formazione Lgbtqia+ agli insegnanti degli asili, mentre crescono le perplessità scientifiche sull’approccio affermativo alla disforia di genere nei minori

 di Lucia Comelli

Il Comune di Roma ha deciso di imporre alle educatrici e operatori di nidi e scuole dell’infanzia un corso di formazione triennale, tenuto da trans-femministe e altri attivisti Lgbtqia+, con lo scopo di de-costruire gli stereotipi di genere, all’insegna cioè dell’ideologia gender.

Del fatto estremamente grave dà notizia in un comunicato Giusy D’Amico – presidente dell’Associazione Non si tocca la Famiglia – che parla di una sorta di minculpop arcobaleno:  

È inaccettabile che teorie fantascientifiche vengano introdotte nella vita di bambini così piccoli veicolando dubbi esistenziali nel percorso della loro identità, in costruzione, instillando insicurezze sugli unici dati certi della loro esistenza: e cioè che nascono come maschi e come femmine e che vengono generati dall’Unione di un maschio e di una femmina … Veicolare contenuti estremamente delicati come identità di genere, utero in affitto, famiglie omogenitoriali, non è appropriato per bambini così piccoli: non si può prevenire la violenza e le discriminazioni attraverso itinerari educativi di dubbio impianto pedagogico. È invece compito della scuola promuovere il rispetto tra bambini e bambine insegnando loro che maschi e femmine hanno pari diritti, pari dignità e pari opportunità”.

  Questo ed altri fatti – come l’istituzione il 17 maggio nelle scuole di ogni ordine e grado da parte dell’attuale Governo di una Giornata internazionale contro l’omofobia, la bifobia e la transfobia (già prevista dal DDL Zan, che il Parlamento aveva bocciato nell’ottobre del 2021) – mostrano come anche in Italia continui a diffondersi la Teoria Gender e con essa il disorientamento identitario dei più giovani, paradossalmente proprio mentre si moltiplicano a livello scientifico le perplessità sull’approccio affermativo – veicolato dalle associazioni arcobaleno – alla disforia di genere. L’approccio affermativo è quello che teorizza l’esistenza di molteplici identità sessuali, variabili nel tempo, cui adeguare eventualmente, con l’aiuto della chimica e della chirurgia, il proprio corpo, invece di aiutare la mente a riallinearsi con esso, come accade per i disturbi alimentari: dei problemi medici che comportano le corrispondenti terapie dà conto, in un efficace articolo comparso sul quotidiano Il Foglio,[1] anche la giornalista e femminista storica Marina Terragni (Disforia di genere farmaci che bloccano lo sviluppo: è bene andarci molto cauti, www.ilfoglio.it, 18.05.2023).

 L’autrice rileva come, alla preoccupazione espressa dalla società psicoanalitica italiana per le terapie che bloccano la pubertà nei ragazzi affetti da ‘disforia di genere’, si sono recentemente associati – nel corso di un convegno a Firenze altri studiosi aderenti alla Società italiana di Terapia Comportamentale e Cognitiva, la maggiore società scientifica di psicoterapia del Paese. Durante il congresso Giancarlo Dimaggio, psichiatra e psicoterapeuta, ha ribadito la mancanza di dati certi, denunciando le interferenze sociali e politiche che mettono a rischio la libertà di diagnosi: “Se ragioni sul fatto che la disforia si accompagna – dal 20 al 50 per cento dei casi – a disturbi di personalità rischi la carriera. Ma questi trattamenti sono sperimentali”, non si sa se funzionino o meno. Anche Furio Lambruschi, direttore del Centro di psicoterapia cognitiva di Bologna, ha sottolineato, oltre all’enorme crescita negli ultimi anni di tali problematiche tra i giovani pazienti, come in gran parte dei casi la disforia di genere sia correlata ad altri disturbi psicologici – come l’autismo – di cui essa può essere semplicemente un sintomo. Per questo, va anzitutto diagnosticata e trattata la patologia di base. Collegato dagli Stati Uniti Marco Del Giudice, docente di psicologia all’University of New Mexico, ha raccontato della rapida politicizzazione della questione della ‘gender identity’: “Le società scientifiche si sono fatte pilotare dagli attivisti. Il sesso biologico viene dissolto e sostituito da una vera e propria mitologia del genere”.

Due studi recenti confermano queste preoccupazioni. Il primo – Current sexual Health Report, 14 aprile – evidenzia il rischio, data l’incertezza delle attuali conoscenze, di errori medici sulle cause, la persistenza e la traiettoria futura della disforia di genere negli adolescenti, nonché sull’entità dei possibili danni causati da terapie errate. Allo stesso modo, una seconda ricerca (Acta Paediatrica, 17 aprile) – esaminati quasi 10 mila abstract – conclude che gli effetti a lungo termine della terapia ormonale sulla salute fisica e psico-sociale dei bambini sono al momento sconosciuti”. Un articolo, pubblicato nel Journal of Sexual Medicine, rileva che il 93 per cento dei minori trattati ha poi continuato con gli ormoni: non si tratta quindi di una messa in pausa reversibile, come sostengono i fautori di tali terapie, ma dell’inizio della transizione. Un cambiamento che – come documenta un lavoro sul British Medical Journal – può comportare conseguenze negative permanenti, anche quando i blocker vengono sospesi, per le ossa (l’osteopenia …) la fertilità e il sistema nervoso.

Le criticità messe in luce dal convegno sono le stesse denunciate dall’Appello-Manifesto promosso nello scorso luglio dall’Osservatorio internazionale (franco-belga) La Petite Sirène: il documento chiede un approccio terapeutico ai bambini affetti da disforia di genere che ne preservi l’integrità fisica e psichica. L’Appello denuncia il carattere ideologico e violento della transizione di genere quando riguarda persone giovanissime, che non hanno consapevolezza alcuna delle pesanti conseguenze a cui vanno incontro, anche perché esse vengono taciute o minimizzate dai social e dai progetti scolastici che affrontano l’argomento. Tra i primi firmatari del testo, sottoscritto da centinaia di scienziati e intellettuali, spicca il nome del dott. David Bell, psichiatra ed ex dirigente della Tavistock, una clinica londinese nota per un reparto specializzato nel ‘cambio di sesso’ dei minori, chiuso dopo che un’inchiesta indipendente voluta dal governo inglese ha documentato una serie di abusi, denunciati dallo stesso medico ed ex pazienti. Le Nuove Linee Guida emanate nel Regno Unito, che puntano sulla psicoterapia e sconsigliano gli interventi ormonali sui minori, sono solo un esempio dei ripensamenti in atto in diversi Paesi occidentali.

In Italia il testo è stato tradotto e lanciato in particolare dall’Associazione Non si tocca la Famiglia e dall’Osservatorio di bioetica senese e poi sottoscritto da altre realtà associative: in autunno, esse promuoveranno a Roma un convegno europeo di studiosi/professionisti aderenti al Manifesto che vedrà la partecipazione anche di rappresentanti della Francia, del Belgio, della Polonia, dell’Ungheria e della Repubblica di San Marino. Sono in corso trattative, in tal senso, con la Spagna.  

Roma 05 giugno 2023

                                               Lucia COMELLI